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“DNA Conchiglia Cattedrale” – Parco Ospedale San Martino, Belluno – 2003

(intervento critico in catalogo)

Una scultura in nome della scienza e dell'arte.

Quello progettato da Flavio Da Rold, Gaetano Ricci e Giorgio Vazza è in realtà un monumento non monumento, proprio perché rifiuta ogni configurazione retorica, ogni elemento decorativo e magniloquente. L'opera rappresenta la vita stessa nel modo più diretto ed essenziale, ponendo innanzi tutto al centro, come asse portante, la doppia elica del DNA, la quale a sua volta, con il perentorio slancio verticale, simbolicamente rinvia all'idea di evoluzione e di progresso.

All'asse rappresentato dalla doppia elica ci conduce grado a grado una serie di ventuno elementi tubolari in rame di altezza crescente, serie che in pianta assume l'andamento spiraliforme tipico, ad esempio, della crescita delle conchiglie: come dire che l'ordine naturale si armonizza perfettamente con quello razionale e viceversa. A sottolineare ciò sta pure la stessa disposizione delle parti, conforme alla sezione aurea, ovvero alla determinazione matematica dell'armonia. Ma c'è di più. Gli elementi tubolari in rame sono caratterizzati ciascuno da una diversa lettera dell'alfabeto e nel loro insieme alludono dunque al linguaggio, alla cultura e alla necessità di comunicazione; da essi fuoriesce dell'acqua, elemento vitale e naturale per eccellenza, che poi scompare e infine inizia nuovamente il suo ciclo, secondo un processo dinamico che si può pensare perenne.

Questa scultura non è stata progettata per un luogo qualsiasi, ma per il luogo di eccellenza della ricerca sulla vita e in difesa della vita. La sua struttura a spirale ci accoglie dolcemente e ci invita all'ascolto; lo slancio ascensionale della doppia elica ci indica la necessità dell'unione, dello sforzo comune al fine del progresso della conoscenza. Nulla dunque potrebbe essere più adatto per comunicare, nel vasto prato posto di fronte all'Ospedale Civile, fervore umano e impegno continuo nella sperimentazione: due dimensioni che in questo caso vedono procedere finalmente assieme scienza e arte.

Nell'ideazione dell'opera Flavio Da Rold, Gaetano Ricci e Giorgio Vazza hanno espresso una concezione della scultura perfettamente in linea con lo spirito che ha contraddistinto molta arte a partire dalle avanguardie storiche del primo Novecento, spirito caratterizzato da rigore progettuale, essenzialità e rifiuto di ogni elemento decorativo e ridondante. Umberto Boccioni, il grande artista futurista, così sintetizzava i propositi della nuova arte nel celebre "Manifesto tecnico della scultura futurista", datato 1912: "1) Proclamare che la scultura si prefigge la ricostruzione astratta dei piani e dei volumi che determinano le forme, non il loro valore figurativo. 2) Abolire in scultura come in qualsiasi altra arte il sublime tradizionale dei soggetti. [...] 4) Distruggere la nobiltà tutta letteraria e tradizionale del marmo e del bronzo. Negare l'esclusività di una materia per la intera costruzione d'un insieme scultorio. Affermare che anche venti materie diverse possono concorrere in una sola opera allo scopo dell'emozione plastica. [...] 6) Che solo una modernissima scelta di soggetti potrà portare alla scoperta di nuove idee plastiche. [...] 8) Che non vi può essere rinnovamento se non attraverso la scultura d'ambiente, perché con essa la plastica si svilupperà, prolungandosi nello spazio per modellarlo". Ora, se è ovvio che Da Rold, Ricci e Vazza non possono certo essere definiti anacronistici epigoni del Futurismo, è però anche evidente che lo spirito delle avanguardie continua ad essere imprescindibile, tanto è vero che trovano oggi concretizzazione anche quelli che allora erano rimasti, almeno in parte, solo dei propositi. Infatti la scultura bellunese, oltre ad evitare ogni riferimento figurativo, si propone quale organismo articolato di innesti polimaterici e al tempo stesso si caratterizza come struttura animata da regole matematiche, percepibili come riferimenti simbolici alla più generale armonia naturale, biologica e cosmica; per di più tale struttura, invece che essere fatta dell'intaglio o della modellazione della materia, si offre come un elemento dinamico generatore di spazio, cioè, in senso proprio, come scultura d'ambiente.

Lo spirito al tempo stesso moderno e contemporaneo dell'opera (moderno quanto ad ascendenze culturali, contemporaneo quanto a tensione formale e a pregnanza dei contenuti) si manifesta pure nell'unione sapiente di tecnica e arte, certo ineludibile ai nostri giorni: in questo caso la tecnica permette di dare concretezza ad idee artistiche ardite e non altrimenti realizzabili con i mezzi tradizionali (si pensi ad esempio alla struttura a doppia elica in acciaio) e l'arte infonde calore ed energia tutta umana alla materia forgiata dalla tecnica. D'altra parte proprio alla metà del Novecento ha avuto inizio quella che, nel campo della scultura, Rudolf Wittkower ha chiamato "una nuova età del ferro" in quanto al modellato e all'intaglio della tradizione si è sostituito l'uso di tecniche metallistiche. Tutto ciò è stato suscitato dal dischiudersi di una nuova sensibilità a contatto con il sempre più pervasivo mondo tecnologico e, a sua volta, quella stessa sensibilità ha dato origine a forme nuove, più aperte e libere. Grazie a tali tecniche e a tale nuova percettività lo spazio è diventato sempre più protagonista dell'opera, sia perché le sculture spesso hanno inteso essere architettoniche (cioè costruttive in termini spaziali), sia perché hanno reso assolutamente imprescindibile un rapporto organico con lo spazio. Così anche la scultura di Da Rold, Ricci e Vazza, per essere intesa correttamente, va percepita in stretta relazione con l'ambiente spaziale per cui è stata progettata, con l'aria e la luce che la circondano e la trapassano, con l'acqua che scorre sulla superficie, con il vento che le farà emettere dei suoni e con gli impalpabili volumi fatti di vuoto che essa definisce: non comprenderne appieno questo aspetto, significa ridurla a puro agglomerato di segni, ad un insieme arcano di simboli.

Il valore di quest'opera sta invece nel fatto che essa rappresenta la vita, sia perché ne riproduce la struttura biologica fondamentale (la doppia elica del DNA), ma anche e soprattutto perché dà forma scultorea e architettonica allo spazio, a quello spazio sensibile e fragile in cui concretamente l'uomo agisce, ama, soffre e magari sogna: in una parola, vive.

(Angelo Bertani)