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“Passaggi“ – Personale Sala Vernici Palazzo Crepadona, Belluno – 1998

(sintesi dell’intervento critico tenuto in occasione dell’inaugurazione il 09.05.1998)

Conosciamo Giorgio Vazza come un artista impegnato su uno dei fronti più avanzati dell’arte contemporanea, quello delle installazioni, opere nelle quali la valenza simbolica e quella concettuale si congiungono in realizzazioni tridimensionali, a volte vere e proprie sculture, capaci di interagire con lo spazio circostante e di imprimergli una connotazione inedita.

[…] Ma Vazza non ha abbandonato un modo di esprimersi se volete più convenzionale, legato al disegno e alla pittura, che sviluppa in modo parallelo alle altre sue ricerche, come un’altra lingua, necessaria e irrinunciabile. Forse la lingua materna, intima e diretta, del segno e del colore, che risponde ad un bisogno di espressione immediato e personale.

Questa mostra riunisce un ciclo inedito di opere su carta.

Sono state sollecitate da un’occasione particolare, da un fatto accolto e assunto come significativo perché percepito come un evento che periodizza, segna una svolta, funge da spartiacque tra due periodi, tra due “epoche” (ci si consenta questo termine) sia della sua biografia individuale, che della storia collettiva dei nostri tempi.

In questo avvenimento, in questo “passaggio” (Passaggi è il titolo che ha dato alla mostra) che lo ha direttamente coinvolto, Vazza ha infatti riconosciuto la forza della storia, del processo super-individuale che trasforma le vite dei singoli.

[…] Vazza ci rivela così, ancora una volta, la capacità di rielaborare la propria esperienza (le vicende della sua vita, oltre che il suo modo di interpretarle: la sua cultura) in una sintesi artistica capace di approfondire e trasfigurare il vissuto particolare, in modo da renderlo significativo, proprio a partire dalla sua particolarità, per tutti i possibili destinatari.

[…] L’evento biografico e storico che è stato l’occasione delle opere che ammiriamo in questa mostra è stato lo smantellamento di un apparato industriale, una centrale termica convenzionale, che è stata demolita per essere sostituita da un aggiornatissimo impianto a controllo informatico.

Possiamo dire che il passaggio evocato dal titolo della mostra è quello, storico, dalla seconda alla terza rivoluzione industriale.

Vazza ha voluto fissare le attività connesse alla demolizione di macchinari e dispositivi tecnici. Questo luogo e questo ambiente gli sono familiari: sono il luogo e l’ambiente dove ha lungamente lavorato come tecnico qualificato.

Alla demolizione della centrale corrisponde il compimento di un periodo della sua vita, l’obsolescenza di un patrimonio di competenze professionali, la necessità di una riconversione del suo sapere, del suo lavoro.

[…] Sarebbe completamente fuori strada, però, chi si aspettasse da queste opere la tetra malinconia e gli scenari desolati che caratterizzano la retorica di tanta pittura di archeologia industriale.

La demolizione non è rappresentata come una perdita, ma come un “passaggio”, una fase di trasformazione, come un mutamento da accogliere pur nell’incertezza di ciò che seguirà.

L’angoscia e il dolore sono totalmente assenti. Possiamo dire che se c’è stato un lutto la sua elaborazione è già avvenuta, così come sono stati già deposti la nostalgia e il rimpianto per il mondo che scompare.

Queste opere sono pervase da una fiducia tranquilla, da uno spirito di affermazione, potremmo dire da una “benedizione” dell’esistere, che non rinnega l’accadere ma ne evidenzia la positività.

La trasformazione, il cambiamento, la fluidità delle relazioni, la precarietà che pervade apparati e situazioni sono accolti come modalità costitutive della vita.

L’arte compie il miracolo, riscatta le forme, risarcisce la perdita con una danza di segni. Le figure dei demolitori si compongono con le geometrie degli impianti in un insieme armonico, segnato dall’incanto per l’apparire fugace di nuove distribuzioni degli spazi e dei volumi.

[…] Quello di Vazza è un mondo di forme che portano in sé il principio della metamorfosi, la virtualità della trasformazione, un mondo di forme cangianti e inafferrabili, post-metafisiche, se con metafisica intendiamo la solidità, la fissità, la rigidità, insomma l’indubitabile certezza dell’essere.

Questo tratto post-metafisico, questa leggerezza, si accompagna alla chiarità di pagine in cui la luce è evidenziata dalla congiunzione di un segno e di un colore mai prevaricanti, mai invadenti, quanto piuttosto allusivi, con la delicatezza e la discrezione di un’indicazione che non pretende di esaurire la comunicazione, ma piuttosto di alludere ad essa, di indicarla, lasciando al fruitore il compito di completarla, di riprendere il discorso, di proseguire da solo sulla direzione indicata, con l’intento di approssimarsi ulteriormente verso una più completa comprensione di ciò che accade.

È proprio in questo rinvio, in questo non voler, o non poter, esaurire la comunicazione, in questa ricercata incompiutezza (unita al rigore della strutturazione formale) che a mio avviso va individuata la qualità e la validità della ricerca di Vazza.

(Corrado Castellani)